"Ecco cosa accade nel cervello di chi soffre di misofonia, la ridotta tolleranza ad alcuni suoni". La ricerca su Current Biology
L'ospite a tavola che mastica in maniera rumorosa, il collega che non smette di giocare con la penna a scatto, un bambino che piange, una persona che sbadiglia: sono tanti i suoni a cui possiamo essere "allergici".
ASCOLTA IL PODCAST
Condividi su:Ma se da una parte c'è chi prova un semplice fastidio, dall'altra c'è chi proprio non riesce a sopportarli: i neuroscienziati della Newcastle University hanno finalmente cercato di capire cosa accade nel cervello di coloro che soffrono di misofonia e da dove arrivi quella rabbia che provano in quei "brutti momenti".
Per la ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Current Biology, gli studiosi hanno reclutato 42 volontari, tutti affetti da questa forma di ridotta tolleranza al suono, e hanno sottoposto loro rumori diversi, più o meno stressanti. Durante l'ascolto hanno monitorato l'attività cerebrale, notando che coloro ai quali erano stati fatti sentire i suoni più fastidiosi presentavano un "movimento" in una particolare area del cervello. "I rumori che infastidiscono di più queste persone non sono quelli 'neutrali' (come il rumore della pioggia) né quelli comuni (come il rumore di un bambino che piange), sono quelli prodotti da altri. La reazione immediata è la rabbia", ha spiegato Sukhbinder Kumar, che ha condotto lo studio.
Ecco cosa accadrebbe nel loro cervello: "Chi soffre di misofonia presenta un'attività più intensa nella corteccia insulare anteriore, la zona che gioca un ruolo centrale nel determinare a quali cose dovremmo prestare attenzione - aggiunge Kumar -. Quando vengono ascoltati determinati suoni, in questa regione c'è più attività, ma non solo: ci sono anche alti livelli di connessione con altre aree, come quelle che regolano le emozioni e la memoria". È come se la misofonia fosse, in altre parole, un errore di attenzione: il cervello di un misofonico si sofferma troppo su suoni a cui le persone solitamente non fanno caso e, di conseguenza, reagisce emotivamente a questi segnali.
La ricerca potrà forse aiutare pazienti come Olana Tansley-Hancock, 29 anni, inglese, che alla BBC ha raccontato di aver avuto anche problemi a trovare un lavoro a causa di questo fastidio: "Ho passato molto tempo ad evitare posti come il cinema. Ho dovuto cambiare carrozza sette o otto volte nell'arco di un viaggio di 30 minuti sul treno e ho cambiato lavoro dopo tre mesi perché passavo più tempo a piangere e ad avere attacchi di panico che a lavorare". La misofonia, dunque, deve essere presa sul serio: il primo passo per farlo è cercare di scoprire cosa la scateni.
Fonte: huffingtonpost.it