Ikea restituisce ai governi di 9 Paesi i soldi degli ammortizzatori sociali: ‘La crisi è stata meno grave del previsto’
Le conseguenze della pandemia sono state meno gravi del previsto e dopo il lockdown i negozi sono tornati velocemente a riempirsi di clienti: per questo motivo Ikea ha deciso di restituire a nove governi nazionali i fondi ricevuti come ammortizzatori sociali, in particolare misure di sostegno al reddito dei lavoratori.
Condividi su:Le trattative per questa inedita operazione sono state avviate con i governi di Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Irlanda, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna e Stati Uniti, ha fatto sapere Tolga Oncu, retail operations manager di Ingka Group, la holding a cui fa capo, tra le altre divisioni, Ikea Retail. Secondo il manager, Ikea aveva previsto una contrazione del business del 70%-80% all’inizio della crisi da coronavirus. E invece, ora che quasi tutti i negozi – tranne 23 – hanno riaperto, la catena di arredamenti più grande al mondo sta sperimentando gli effetti di una notevole “domanda di ritorno” per il rinnovo di case e appartamenti. Il lockdown, oltre a deprimere gli acquisti, ha infatti anche messo in luce i punti deboli delle abitazioni, spingendo i consumatori a riversarsi nei negozi subito dopo la riapertura.
“Ora che ne sappiamo di più rispetto a febbraio o marzo, abbiamo deciso che la cosa giusta fosse dire – ai governi, ndr – ‘grazie ragazzi, ci avete aiutato in questo periodo difficile e ora vi rendiamo la cortesia’”, ha dichiarato Oncu al Financial Times.
Concetto ribadito su LinkedIn da Olivia Ross-Wilson, direttore della comunicazione di Ingka Group, che ha scritto: “Nei mesi scorsi abbiamo dovuto affrontare varie sfide, cercando di trovare il giusto compromesso tra ciò che è meglio per le persone e la società e ciò che è meglio per il business. Per questo ora siamo molto orgogliosi di aver avviato il processo per restituire ai governi il supporto salariale che abbiamo ricevuto durante i momenti peggiori della pandemia. E anche se non ci sono procedure codificate per farlo, troveremo il modo come sempre”.
A quanto risulta, Ikea è nella fase iniziale delle trattative con le autorità nazionali: date le differenze tra i singoli Paesi sulle misure adottate come ammortizzatori sociali durante la crisi – sostegno al salario, riduzioni di orario – non sono state precisate le modalità, né i costi della procedura di restituzione, né si sa quanti lavoratori sono stati coinvolti nei nove Paesi.
All’inizio dell’emergenza sanitaria, ha aggiunto Oncu, la priorità di Ikea è stata proteggere la salute dei dipendenti chiudendo la maggior parte dei suoi 374 negozi nel mondo.
“Ma quando la nebbia ha iniziato a diradarsi abbiamo visto che la crisi non è stata così grave come temevamo e che non sarebbe durata tanto a lungo quanto avevamo preventivato”. Per questo la decisione di restituire i fondi, che secondo il manager “era la cosa giusta da fare. È importante per noi mantenere buone relazioni con le società e le comunità alle quali siamo vicini”.
La decisione di Ikea apre però il dibattito sul comportamento più opportuno da adottare per le imprese, nel momento in cui i loro business iniziano a mostrare segni di ripresa dopo i lockdown. In altri Paesi alcune società hanno preso decisioni simili: in Gran Bretagna Games Workshop e il magazine Spectator hanno fatto sapere di voler restituire i finanziamenti ricevuti nell’ambito del Coronavirus Job Retention Scheme; ma tra le multinazionali non ci sono stati finora molti casi analoghi a quello del colosso svedese dell’arredamento. Che comunque resta sotto la lente delle autorità europee per ragioni fiscali: la gran parte delle società del gruppo fondato in Svezia hanno infatti sede nei Paesi Bassi e la Commissione europea ha recentemente esteso il raggio d’azione dell’inchiesta aperta nel 2017 sul trattamento fiscale disposto dall’erario olandese nei confronti di Ikea.
Fonte: businessinsider.com