Secondo vari studi (solo uno confermato) chi ha il sangue del gruppo 0 si ammala meno di Covid, e se si infetta ha sintomi più lievi
Oltre 7 milioni di casi, di cui 3.781.538 in America (soprattutto Usa e Brasile), 2.416.920 in Europa, 471.392 nell’Asia meridionale che comprende l’India, 175.503 in Africa. Il Covid-19 continua il suo corso nel mondo, rallentando in alcune aree, accelerando in altre, e in particolare nelle nazioni più povere, dove è difficile mettere in atto strategie di difesa.
Condividi su:Da quando l’epidemia è partita, in dicembre a Wuhan, gli studi hanno portato a conoscerla meglio. I più recenti studi clinici dimostrano che le persone di sesso maschile, più in là con gli anni, con patologie croniche e in particolare problemi cardiovascolari, reagiscono peggio.
Al di là di queste categorie però ancora non è chiaro perché alcuni vengano infettati e altri no, e perché alcuni abbiano solo sintomi lievi mentre altri presentino un quadro grave. Sarebbe molto utile poter identificare un indicatore biologico preciso, che permetta di capire chi può presentare rischi maggiori.
Tra i più interessanti pare essere il gruppo sanguigno, che viene determinato geneticamente e non varia nel corso della vita. Ce ne sono 4 tipi: AB, A, B, O (zero). Le differenze sono dovute ad antigeni, ovvero frammenti di proteine, carboidrati, glicoproteine o glicolipidi, che sono presenti sulla superficie del globulo rosso e formano una pellicola protettiva. Il gruppo A presenta solo proteine di tipo A, il gruppo B di tipo B, il gruppo AB entrambi i tipi mentre il gruppo 0 è privo di antigeni.
Già in precedenza erano state notate suscettibilità diverse per varie malattie, in funzione dei gruppi sanguigni. Il gruppo A per esempio ha una facilità maggiore nel contrarre l’epatite B e anche l’Hiv. Lo 0 era stato colpito meno anche durante l’epidemia di Sars. E questa informazione ha spinto ad effettuare altre indagini.
Per esempio quella appena condotta da 23andMe, non un laboratorio di ricerca, ma una compagnia commerciale che fornisce analisi del Dna personalizzate. Sono quelli a cui ci si può rivolgere per conoscere le proprie origini genetiche grazie a un semplice prelievo casalingo che poi viene inviato per posta. Il vantaggio di 23andMe è poter disporre di una notevole mole di dati. Sottoponendo al vaglio 750 mila persone, hanno scoperto che chi appartiene al gruppo 0 ha tra il 9 e il 18 per cento in meno di possibilità di contrarre il Covid-19. E tra il 13 e il 26 per cento in meno di essere testato come positivo.
Non è la prima volta che contribuiscono a ricerche. Hanno per esempio collaborato tre anni fa con Nature all’analisi di 17 malattie, dimostrando 60 varianti genetiche coinvolte nello stato di vulnerabilità.
Soprattutto non sono stati i primi a interessarsi di questo argomento, che infatti è anche sotto il mirino degli scienziati. Una prima ricerca, pubblicata il 27 marzo, è stata effettuata da medici della Southern University of Science and Technology di Shenzen e dall’Ospedale di Wuhan.
Sottoponendo ai test oltre 2 mila pazienti confermati hanno scoperto che in chi aveva il gruppo sanguigno A il rischio di contrarre il Covid-19 era più alto, mentre in chi lo aveva di tipo 0 era più basso.
La proporzione delle persone di tipo A era più alta nei malati rispetto alla popolazione media.
Mentre
- A rappresenta in media il 32,16 per cento,
- il B 24,90,
- l’AB il 9,10,
- lo 0 il 33,84,
nei malati le percentuali diventavano
- 37,75 per cento per gli A,
- 26,43 per i B,
- 10,32 per gli AB
- e il 25,80 per 0.
Una sproporzione ancora più alta valeva per i deceduti.
Un altro rapporto scientifico effettuato dalla Columbia University nell’Ospedale di New York in aprile ha avuto gli stessi risultati, ma ha precisato che la minore infettività degli 0 è limitata a quelli che hanno il fattore Rh positivo.
L‘approfondimento più recente, effettuato da un team internazionale, è del 2 giugno e riguarda le popolazioni di Italia e Spagna. Anche in questo caso si è riscontrato che chi ha il gruppo A ha più possibilità di sviluppare complicazioni respiratorie. In particolare hanno trovato due regioni del Dna che potrebbero essere correlate con sintomi più gravi. Una di queste contiene le informazioni che codificano il tipo sanguigno.
Non a caso i geni coinvolti forniscono le informazioni per la sintesi di una proteina che fornisce le molecole necessarie a proteggere la superficie della cellula sanguigna. Secondo questa indagine chi ha il tipo A ha il 50 per cento in più di possibilità di finire in terapia intensiva.
Tutte queste pubblicazioni non sono purtroppo peer reviewed, un termine che dimostra che sono state passate al vaglio del controllo sotto tutti gli aspetti.
In ogni caso uno studio dell’Ospedale di Wuhan, pubblicato sul British journal of Hematology, e dunque scientificamente approvato, ha confermato i dati precedenti, dimostrando che gli A avevano un tasso di ospedalizzazione più alto.
Ancora non è chiaro che ruolo giochino i fattori sanguigni, a parte la presenza delle molecole che proteggono le cellule o i geni correlati. E’ vero però che mentre gli A hanno anticorpi che possono scatenare reazioni immunitarie nei confronti dei B, e i B nei confronti degli A, gli 0 hanno anticorpi per entrambi, il che limita le donazioni per questo gruppo solo a chi ha lo stesso, mentre può donare a tutti gli altri. E la proteina spike del Covid-19, la chiave che permette al virus di infettare le cellule, è avvolta da zuccheri, e l’ospite viene proprio messo al suo servizio per fabbricarli. Ricerche hanno dimostrato che spesso sfrutta proprio quelli delle cellule sanguigne, quelli che caratterizzano i gruppi sanguigni. E quando un infettato tossisce o starnuta, probabilmente emette particelle virali che contengono anche frammenti riconducibili al suo gruppo sanguigno. Il che significa che se di fronte c’è uno 0, è molto difficile che venga contagiato perché gli anticorpi che normalmente reagirebbero all’A in una trasfusione, agiscono anche in questo caso.
Inoltre le variazioni genetiche possono anche corrispondere alo scatenamento delle citochine, che è stato dimostrato come uno dei più pericolosi fattori della malattia provocata dal coronavirus.
Corrispondono anche a una diversa coagulazione del sangue, un alto indice di gravità. I tipi 0 hanno meno proteine che permettono i coaguli.
In ogni caso gli 0 sono protetti sotto due aspetti: si infettano meno e, quando lo contraggono, rischiano meno di essere ospedalizzati.
Ci sono ampie variazioni geografiche nei gruppi sanguigni. In Italia per esempio gli 0 sono il 40 per cento, contro il 36 di A, il 7,5 di B, il 2,5 di Ab. Sono quindi in leggera minoranza rispetto al totale. Ciononostante il nostro Paese è stato colpito duramente. E lo 0 è molto comune tra gli afro americani, una delle comunità che in questo momento sta soffrendo di più. Quindi è indubbiamente vero che chi è A è meglio che aumenti le precauzioni, ma anche che chi è 0 non può andare in giro senza mascherina.
Fonte: businessinsider.com