Vino, l'Irlanda potrà scrivere sull'etichetta «fa male alla salute». Italia contro Ue: «Decisione assurda»
Il ministro Tajani ha annunciato il ricorso, mentre Lollobrigida parla di "scelta volta a condizionare i mercati".
Condividi su:Con il silenzio-assenso dell'Unione europea al progetto di legge irlandese sugli «alert sanitari» in etichetta sul vino - di fatto un via libera - l'Italia lancia la sua controffensiva in difesa del patrimonio eno-gastronomico nazionale, annunciando con il ministro degli Esteri Antonio Tajani il ricorso al Wto: «Assurda la decisione dell'Irlanda di introdurre un'etichetta per tutte le bevande alcoliche, incluso il vino italiano. Nonostante la contrarietà del Pe». Perché «crediamo che dietro questa scelta un'altra volta si miri non a garantire la salute ma a condizionare i mercati», tuona il ministro dell'agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida.
Sul tema, le istituzioni italiane si sono dimostrate compatte. Questa è una «scelta gravissima», ha detto Lollobrigida, tanto più che «viene da nazioni che non producono vino e dove si abusa di superalcolici. Si vuole equiparare il vino ai superalcolici» ma il vino «utilizzato in modo moderato è alimento sano».
Tutto questo accade proprio quando l'Italia del vino segna un record storico nell'export, per un valore vicino agli 8 miliardi di euro nel 2022, secondo un bilancio della Coldiretti sulla base dei dati Istat. Per l'Italia, sottolinea la Coldiretti, «si tratta di difendere un settore del Made in Italy che fattura complessivamente 14 miliardi di euro e offre opportunità di lavoro a 1,3 milioni nei più diversi ambiti, grazie ad una produzione destinata per circa il 70% a Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% per i vini da tavola».
Con questa azione, spiega il coordinatore vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari, Luca Rigotti, «l'Irlanda è andata a ledere e a mettere in discussione i principi del mercato unico, nel cui perimetro è disciplinato il settore vitivinicolo e che dovrebbe garantire, tramite l'Organizzazione Comune di Mercato, un'applicazione per l'appunto "comune", dei principi e delle regole europee in tutti gli Stati membri».
Più cauto l'Istituto Superiore di Sanità che, per bocca del direttore dell'Osservatorio Nazionale Alcol, Emanuele Scafato, puntualizza: «L'etichetta garantisce al consumatore una scelta informata, perché le evidenze scientifiche indicano che non è possibile definire una quantità "sicura" di alcol rispetto ad eventuali danni alla salute».
Con l'autorizzazione di Bruxelles, l'Irlanda potrebbe diventare il primo Paese Ue ad apporre sulle bottiglie delle bevande alcoliche "alert" come «il consumo di alcol provoca malattie del fegato» e «alcol e tumori mortali sono direttamente collegati». La norma è stata notificata a giugno da Dublino a Bruxelles, che ha confermato - con il periodo di moratoria scaduto a fine dicembre 2022 - che le autorità nazionali possono adottare la legge. E Roma, Parigi e Madrid, insieme ad altre sei capitali, hanno provato ad opporsi mettendo nero su bianco la protesta con un parere inviato a Bruxelles che evidenziava come l'eccezione irlandese discrimini i produttori degli altri Paesi Ue, costretti alla doppia etichetta.
Il via libera non è definitivo, perché l'Irlanda dovrà essere autorizzata anche dall'Organizzazione mondiale del commercio, «in quanto questa normativa - ha puntualizzato Paolo De Castro, membro della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo - rappresenta una barriera anche a livello internazionale. Un processo che prevede una durata di circa 60 giorni». Tutto questo non è che il terzo atto di una strategia da parte di Dublino tesa a contrastare quella che per le autorità irlandesi è «un'emergenza sanitaria nazionale» che riguarda l'etichettatura, materia delicatissima per il mercato interno. Dublino, aveva già ottenuto il via libera Ue - prima nel 2016 e poi nel 2018 - per misure sempre più stringenti (fiscali e di prezzo) finalizzate a ridurre i consumi di alcol.
Fonte: ilmessaggero.it